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martedì 16 ottobre 2018

Recensione La Ragazza del Convenience Store - Edizioni e/o


16 Ottobre 2018
Recensione La Ragazza del Convenience Store


Autore: Murata Sayaka
Genere: Narrativa Contemporanea
Editore: Edizioni e/o
Pagine: 168 pp.
Prezzo: 15,00€
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Da quando mi sono immersa nella letteratura giapponese non faccio altro che trovare personaggi che in qualche modo definirei anomali. Per anomali intendo dire che non rispecchiano esattamente l’idea dell’individuo tipico giapponese, almeno per come me lo immagino io. Questo romanzo, come immaginavo, non si discosta molto da altri romanzi i cui protagonisti sono come “alienati” dalla società che li circonda. Vediamo di analizzarne insieme i dettagli.

Keiko Furukura è una ragazza single, ha 36 anni e da ben 18 lavora part-time sempre nello stesso konbini (i convenience store aperti 24/7 in Giappone dove si trova praticamente di tutto). La realtà dei kombini è ben definita: chi ci lavora normalmente sono quegli studenti che provano a racimolare un po’ di denaro, o comunque quei giovani che sperano di trovare un impiego migliore per sposarsi e mettere su famiglia. Keiko non ha alcuna di queste intenzioni: lei vede nel kombini la sua unica realtà, il suo posto nel mondo. Non è interessata a cambiare lavoro, e tanto meno è interessata a trovare marito. Si è sempre comportata in un modo ed è incapace di adeguarsi alla norma. Le convenzioni sociali infatti non la sfiorano minimamente, nonostante la società che la circonda pretenda da lei che si uniformi a quegli schemi predefiniti che indirettamente vengono imposti ai singoli individui. La sua famiglia, le sue amiche, spesso le chiedono come mai non abbia ancora trovato un fidanzato e Keiko sempre più spesso è costretta a mentire dicendo di aver avuto delle relazioni che non sono andate a buon fine, pur di non risultare “strana” ai loro occhi. Se mente è solo per apparire migliore agli occhi altrui, la sua omologazione quindi avviene solo esteriormente, è un’omologazione di facciata: interiormente non ha alcuna intenzione di affacciarsi a un minimo cambiamento.
Eppure l’individualismo di Keiko è molto particolare. Non solo sta bene nella sua realtà, ma non si rende nemmeno conto che è totalmente ai margini dei meccanismi sociali moderni. Questo mi ha realmente meravigliata durante la lettura. Keiko è Keiko solo in funzione del suo lavoro al konbini, che la identifica come la commessa perfetta nel suo attenersi efficientemente alle regole. Al di fuori di esso Keiko sembra quasi non provare emozioni.
Tutto cambia nel momento in cui inizia a lavorare insieme a lei Shiraha, altro “escluso” come la protagonista, 35enne in cerca di moglie, convinto che la società moderna sia rimasta ai tempi della preistoria, senza particolari mutazioni. Shiraha, sembra essere il classico uomo a cui non importa la solidità di una professione, anzi ambisce a sposare una donna ricca che possa finanziare il suo futuro da parassita. Ciò nondimeno, stranezza per stranezza, egli pare riesca a convincere Keiko ad una svolta epocale nella sua vita. Può Shiraha rappresentare per Keiko la sua occasione per mettere su famiglia, soddisfacendo finalmente le aspettative di amici e parenti? Oppure il mondo del konbini rimarrà per Keiko il suo unico posto nel mondo?

A distanza di pochissimi mesi dalla lettura di Eleanor Oliphant sta benissimo, ho riscontrato dei tratti comuni nelle due protagoniste: l’indipendenza assoluta, il loro essere strane dal resto delle persone che le circondano, la compassione che molti provano nei loro confronti e la forza personale. 

Il testo scorre che è una meraviglia, come un fiume in piena.
La scrittura di Murata Sayaka mi ha ricordato molto quella di Banana Yoshimoto in quanto a freschezza e scorrevolezza. La giovane scrittrice contemporanea debutta nel 2003 con il racconto L’allattamento che vince il premio Gunzō e nel 2016 grazie a La ragazza del convenience store, ispirato alla sua storia personale di commessa presso un konbini, vince il premio Akutagawa, il più prestigioso fra i premi letterari giapponesi.

Consigliato a chi intende avvicinarsi alla cultura giapponese in un romanzo breve ma al tempo stesso intenso, a chi ha bisogno di una lettura che, nonostante il tema trattato, si rivela in realtà molto leggera.

Voto personale ⭐️⭐️⭐️⭐️/5. 

giovedì 4 ottobre 2018

Recensione Fidanzati dell’Inverno di Cristelle Dabos - Edizioni e/o



4 ottobre 2018


Recensione Fidanzati dell’Inverno


Autore: Cristelle Dabos
Genere: Narrativa Fantasy Steampunk
Editore: Edizioni e/o
Pagine: 512 pp.
Prezzo: 16,00€
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Primo Fantasy per me. Primo Fantasy anche per la casa editrice Edizioni e/o. 


Quando dico che non ho mai letto alcun fantasy, dico per davvero. E soprattutto mi riferisco al fatto che non ho mai neanche letto Harry Potter (e mi faccio pure 90 minuti abbondanti di vergogna per questo motivo).
Tendenzialmente sono una persona con i piedi per terra, e questa mia caratteristica si riflette moltissimo nelle mie letture. 
Ma allora perché ho deciso di intraprendere questa lettura? Un po’ per cambiare, un po’ per spaziare, un po’, lo ammetto, anche per curiosità. 
Il malloppo non mi ha affatto spaventata e ho iniziato la lettura con la consapevolezza che se avessi avuto la minima difficoltà nell’approccio a questo nuovo genere per me, avrei mollato senza ripensarci due volte. E invece, con mia grande sorpresa, non ci ho pensato due volte a divorarlo! Si, perché è stato amore a prima pagina! 
Credo che sia un ottimo libro per chi inizia a leggere romanzi fantasy e non sa proprio da dove iniziare e vuole giusto capire come approcciarsi a questo genere letterario.

La sceneggiatura in sé è splendida ed originale. Persino la caratterizzazione dei personaggi è unica ed accattivante.
Ma andiamo per gradi.
Ofelia, una ragazza “in età da marito” vive su Anima, una delle arche (o zolle, come le chiamo io) che fluttuano nello spazio e che sono i resti di quello che un tempo era il Vecchio Mondo (ossia la Terra).
Lei è goffa, timida e un po’ miope ma con ben due poteri speciali che la rendono unica. È in grado di attraversare gli specchi e di leggere il passato degli oggetti che tocca.
Lavora come curatrice di un museo, lavoro che ama, fin quando le Decane della città in cui vive decidono di darla in sposa al nobile Thorn, della potente famiglia dei Draghi.
Ofelia è costretta quindi a trasferirsi nell’arca del suo promesso sposo, chiamata Polo, molto più fredda ed inospitale di Anima.

Ma perché sia stata scelta proprio lei, nella sua goffaggine, come promessa sposa del nobile Thorn lo scopriremo soltanto quasi a fine lettura, dopo che Ofelia attraverserà mondi galleggianti, oggetti capricciosi, illusioni ottiche e lotte di potere.
I suoi due poteri non sono casuali, bensì hanno i loro perché.
Se Ofelia riesce a leggere gli oggetti che tocca è nientemeno perché è in grado di dimenticare un po’ se stessa mentre lo fa. Al giorno d’oggi non è così semplice mettere da parte l’Io personale, lei invece ci riesce in maniera quasi naturale per dedicarsi totalmente ad un oggetto e leggerne la storia, il passato. 
Inoltre, attraversare gli specchi significa affrontare se stessi. Ci vuole fegato a guardarsi negli occhi, vedersi per ciò che si è, immergersi nel proprio riflesso. Quelli che si mettono un velo davanti alla faccia, una maschera, che mentono a se stessi e si vedono migliori di ciò che sono in realtà non ce la faranno mai.

Questo non è che il primo volume di una saga francese che sta letteralmente spopolando in tutto il mondo coinvolgendo milioni di lettori di tutte le età. 
Edizioni e/o ha da poco annunciato l’uscita del secondo volume che avverrà a Gennaio 2019.
Io non sto già nella pelle, avrei tanto voluto saper leggere in francese per poter continuare questa saga dal gusto steampunk.
Lo stile della Dabos è davvero scorrevole, di semplice lettura e comprensione. La divisione in capitoli, titolata, ci aiuta ad avere un’idea di ciò che accadrà nel capitolo in cui ci stiamo addentrando.

Molti lamentano che in questo libro non accada nulla di speciale, che forse è solo un preambolo di ciò che accadrà nei libri successivi ma a mio avviso ritengo che non abbiano letto bene il testo, oppure si aspettavano di trovare tutt’altro. Certo è che questo è un libro che anticipa molto la storia in sé, ma già si evincono alcuni passaggi fondamentali ai fini del proseguimento della narrazione. Quei passaggi sono fondamentali anche per stuzzicare la nostra curiosità per poi proseguire la lettura degli altri volumi.
Se pensate di trovare dentro a questo libro una bellissima storia d’amore vi sbagliate. Niente romanticismi, nessun amore spassionato, niente di niente. Detto questo, non ci resta che lasciare fluttuare la nostra fantasia per ciò che di romantico avverrà (forse) nei prossimi volumi.
Altri invece hanno lamentato il fatto che Ofelia non utilizzi a pieno i suoi poteri una volta trasferitasi al Polo. Ma a mio modesto parere non è così, anzi sono dell’idea che Ofelia abbia usato i suoi poteri con la stessa umiltà che la caratterizza, senza strafare. Essenzialmente ha usato i suoi poteri esattamente quando ce n’è stato di bisogno.


Attendo con trepidazione il seguito di questa saga de L’Attraversaspecchi che mi ha letteralmente catturata, cosa che non credevo affatto.
Voto personale ⭐️⭐️⭐️⭐️/5. 

mercoledì 18 luglio 2018

Recensione Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway - Edito Mondadori

 Il vecchio e il mare



Autore: Ernest Hemingway
Genere: Classici Moderni
Editore: Mondadori
Pagine: 124
Prezzo: € 10,20
Puoi acquistare il libro su Amazon 

Santiago, un vecchio pescatore, è colpito dalla malasorte, non prende un pesce commerciabile da un sacco di tempo. Manolo, il ragazzo suo aiutante, ha dovuto andare a lavorare in un’altra barca perchè i genitori gli hanno intimato di lasciare al suo destino il vecchio sfortunato. Santiago non si dà per vinto. A bordo della sua barca a vela si spinge al largo nella corrente del golfo e questa volta aggancia all’amo una preda straordinaria: un pesce spada lungo più di 5 metri. 
La lotta per issarlo a bordo dura parecchi estenuanti giorni durante il quale il vecchio soffre la stanchezza e il dolore fisico che la lenza gli procura alla mano. 
Anche la schiena inizia a fare sentire la stanchezza e inizia un breve ed intensissimo monologo da parte del vecchio con piccole parvenze filosofiche. 
Santiago è il simbolo dell’ostinazione dell’uomo davanti alla forza della Natura. È mosso da un sentimento panico della natura: lui ha profondo rispetto del pesce, del mare, di tutte le creature che reputa fratelli e sorelle, crede nella fusione tra l’elemento naturale e quello umano, ma sa anche che deve sopravvivere e per farlo deve essere disposto a combattere.
Il pesce è infatti la metafora sia di uno scopo da perseguire, una sfida da affrontare, sia del dolore, quello subdolo e silenzioso che, a volte, si insinua nella testa e nell’anima delle persone, un mostro strisciante da combattere.

”Ora non è il momento di pensare a quel che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai.”

Questo libro è il più premiato tra tutti quelli scritti da Hemingway: conquistò la critica letteraria vincendo il Pulitzer nel 53 e poi il Nobel nel 54.

(Puoi trovare tutti i miei aggiornamenti di lettura su Instagram -> @vanbooks.93)

Ammetto che a primo impatto, una volta terminata la lettura, il libro non mi piacque per niente. In sè la storia non mi diceva nulla. Nei giorni successivi invece la storia di Santiago mi tornava in mente di continuo e man mano che ci pensavo assumeva tutti i significati che non avevo colto durante la lettura.
È un libro che mi propongo di rileggere, sicuramente. 

Voto personale ⭐️⭐️⭐️⭐️/5. 


mercoledì 27 giugno 2018

Recensione "Dovremmo essere tutti femministi" di Chimamanda Ngozi Adichie - Giulio Einaudi Editore

Dovremmo essere tutti femministi.



Autore: Chimamanda Ngozi Adichie
Genere: Saggio
Editore: Giulio Einaudi Editore (2015)
Pagine: 36

Prezzo: € 7,65
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In questo saggio molto personale, scritto con grande eloquenza – frutto dell’adattamento di una conferenza TEDx dal medesimo titolo di straordinario successo – Chimamanda Ngozi Adichie offre ai lettori una definizione originale del femminismo per il XXI secolo. Attingendo in grande misura dalle proprie esperienze e riflessioni sull’attualità, Adichie presenta qui un’eccezionale indagine d’autore su ciò che significa essere una donna oggi, un appello di grande attualità sulle ragioni per cui dovremmo essere tutti femministi. In un contesto in cui il femminismo era considerato un ingombrante retaggio del secolo scorso, la posizione di Adichie ha cambiato i termini della questione. Alcuni brani della sua conferenza sono stati campionati da Beyoncé nel brano Flawless e hanno fatto il giro del mondo. La scritta FEMINIST a caratteri cubitali come sfondo della performance dell’artista agli Mtv Video Music Awards e il famoso discorso dell’attrice Emma Watson alle Nazioni Unite in cui si dichiara femminista sono segni evidenti del fatto che c’è un prima e un dopo Dovremmo essere tutti femministi.
 Meritava di essere trascritto e merita di essere letto da tutti. 


Il tema del femminismo viene snocciolato, in brevissimi capitoli, in ogni ambito: al lavoro, a casa, a scuola, in pubblico e in tutti quei luoghi dove è marcato il concetto che la donna è inferiore all’uomo. 
Fondamentalmente il femminismo altro non è che l’idea che uomo e donna nella società, nel lavoro e ovunque al mondo, siano uguali. Il femminismo non è e non deve essere prettamente femminile. Tutti dovrebbero esserlo in quanto anche gli uomini devono credere che le donne abbiano i loro stessi diritti. Perché non è giusto che a parità di mansioni, lo stipendio di una donna sia inferiore solo perché ha la “colpa” di essere donna.
Perché non è giusto che una bambina pur avendo il massimo dei voti a scuola non possa essere la rappresentante di classe in quanto di sesso femminile. 
Solo grazie all’educazione è possibile sterminare questi preconcetti. Bisogna educare bambine e bambini al concetto del femminismo. Per un mondo migliore.


Le donne che comandano sono una minaccia per la virilità dell’uomo. La percentuale delle donne ai vertici di grandi aziende è, infatti, decisamente inferiore alla corrispondente percentuale maschile e laddove esista una donna leader, essa percepisce molti meno soldi dei suoi colleghi maschi, nonostante le mansioni siano le medesime.
Più si obbligano gli uomini a essere forti, più saranno deboli e più ci si aspetterà che le donne siano crocerossine, pronte ancora una volta a farsi da parte per risanare l’ego dell’uomo.
Le parole di Chimamanda ci dimostrano quanto le idee correnti sul genere siano ancora estremamente obsolete, impolverate e soprattutto claustrofobiche. L’unica soluzione possibile è l’educazione, una cultura che finalmente possa insegnare a bambini e bambine che nonostante biologicamente siano estremamente differenti, la loro dignità umana ha lo stesso peso. I loro sentimenti, sogni, speranze, emozioni così come le loro abilità non dipendono dalla produzione di testosterone. Non c’entrano niente con il genere. 

«Io vorrei che tutti cominciassimo a sognare e progettare un mondo diverso. Un mondo piú giusto. Un mondo di uomini e donne piú felici e piú fedeli a se stessi. Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegniamo ai nostri figli».


Essere femminista non significa odiare gli uomini e questo l’autrice ce lo spiega bene. La sua definizione di femminista è quella autentica che qualunque dizionario riporta: «Femminista: una persona che crede nell’eguaglianza sociale, politica ed economica dei sessi». Ecco qui spiegato il titolo del libro: dovremmo essere TUTTI femministi, in quanto il termine femminista non riguarda soltanto le donne, bensì uomini e donne che insieme credono che ci sia uguaglianza tra i due generi.
«I maschi e le femmine sono indiscutibilmente diversi sul piano biologico, ma la socializzazione accentua le differenze. E poi avvia un processo che si autorafforza. Prendiamo l’esempio della cucina. Oggi è piú probabile che siano le donne a sbrigare le faccende di casa: cucinare e pulire. Ma qual è il motivo? È perché le donne nascono con il gene della cucina o perché anni di socializzazione le hanno portate a credere che cucinare spetti a loro? Stavo per rispondere che forse le donne nascono davvero con il gene della cucina, ma poi mi sono ricordata che quasi tutti i cuochi famosi del mondo – quelli che ricevono l’estroso titolo di chef – sono uomini.Ricordo quando guardavo mia nonna, una donna brillante, e mi chiedevo cosa sarebbe diventata se da giovane avesse avuto le stesse opportunità di un uomo. Oggi una donna ha piú opportunità di quante ne avesse mia nonna ai suoi tempi, e questo perché sono cambiate le leggi e le politiche, che sono molto importanti.Ma a contare ancora di piú sono il nostro atteggiamento, la nostra mentalità.
E se, educando i nostri figli, ci concentrassimo sulle capacità invece che sul genere? Sugli interessi invece che sul genere?».
«Conosco una famiglia con un figlio e una figlia. Hanno un anno di differenza e sono entrambi bravissimi a scuola. Quando il maschio ha fame, i genitori dicono alla femmina: «Vai a fare dei noodles per tuo fratello». A lei non piace preparare i noodles, ma è una ragazza e deve farlo. E se i genitori, fin dall’inizio, avessero insegnato a entrambi i figli a cucinare i noodles? Tra l’altro, saper cucinare è una competenza pratica molto utile per un ragazzo. Ho sempre trovato assurdo delegare una cosa fondamentale come la possibilità di nutrirsi.Conosco una donna che ha gli stessi titoli di studio e lo stesso lavoro del marito. Quando tornano a casa, è lei a occuparsi di gran parte delle faccende domestiche, e questo accade in molti matrimoni, ma la cosa che mi ha colpita è che quando lui cambia il pannolino al bambino lei lo ringrazia. E se invece le sembrasse normale e naturale che il marito si occupi del figlio?».

Evitare di parlare di argomenti scomodi, come la disparità di genere, non annulla il divario sociale tra donne e uomini, e questo deve cambiare. «La cultura non fa le persone. Sono le persone che fanno la cultura. Se è vero che la piena umanità delle donne non fa parte della nostra cultura, allora possiamo e far sì che lo diventi.»


Voto generale: ⭐⭐⭐⭐⭐/5.





mercoledì 20 giugno 2018

Recensione "Le tartarughe tornano sempre" di Enzo Gianmaria Napolillo - Feltrinelli

Le tartarughe tornano sempre.


Autore: Enzo Gianmaria Napolillo
Genere: Romanzo
Editore: Feltrinelli (2015)
Pagine: 224

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Estate. Sole. Vacanze. Brezza marina. Vento estivo.
Primo amore. Adolescenza. Spensieratezza. Lui, Salvatore. Lei, Giulia.

 Enzo Gianmaria Napolillo ci fa scoprire un’isola dalla bellezza unica. Assopita in inverno, dove le uniche anime vive sono gli abitanti che si rimboccano le maniche tutte le mattine per pescare il pesce da rivendere ai ristoranti e gli alberghi della terraferma; estremamente viva d’estate, ricca di turisti, ricca di famiglie che tornano per le vacanze, dei bambini e dei ragazzi che giocano per strada liberi dai pensieri della scuola.


 Salvatore ha sempre vissuto lì, sull'isola. Ne conosce ogni aspetto, conosce ogni vento, conosce ogni corrente marina, conosce ogni abitante, ogni strada, ogni spiaggia.
 Giulia vive a Milano, va sull'isola solo per due mesi l'anno per le vacanze estive. Suo padre è cresciuto lì, ma ha deciso di trasferirsi per intraprendere gli studi, e successivamente la carriera, come architetto.
 I due ragazzi si scrutano da lontano, si osservano, si piacciono. Fino a quando si innamorano di un amore così puro e forte che tutti i ragazzi dell'isola invidiano. Il loro amore supera la distanza, supera gli anni, supera i problemi, e rimane immutato nei loro cuori.
Ma c'è una cosa che li accomuna entrambi. Il mare, da sempre sfondo dei loro momenti più belli, ma anche del momento più brutto: la scoperta del corpo di un bambino senza vita galleggiare sulla riva, che non ha superato il viaggio della speranza. Da quel momento l'isola muta, cambia aspetto, così come i cuori di Giulia e Salvatore che non dimenticheranno mai quello che i loro occhi hanno visto. Gli abitanti si uniscono pur di aiutare la flotta di immigrati che sbarca giorno dopo giorno; alcuni se ne vanno per non fare più ritorno, come i genitori di Giulia che decidono di vendere la casa sull'isola per non tornarci più.
Eppure qualcosa tiene uniti i due ragazzi, e quel qualcosa non sono solo le lettere rosa che nei mesi invernali Giulia spedisce da Milano prima più spesso, poi più raramente, bensì un legame forte, forse indissolubile.
 Lettura stra consigliata, tocca i temi dell’amore ma ancor di più sfiora temi attuali come il razzismo e gli sbarchi degli immigrati.
 “Il razzismo è una brutta storia” urla chiaro e forte lo slogan del libro.
 Molto scorrevole e facilmente riusciamo ad immedesimarci nei personaggi.    Mentre leggevo questo libro, ho capito che stavo avendo un’esperienza sensoriale a 360 gradi: vedevo l’isola, ne respiravo il profumo, toccavo il suolo con i piedi nudi e odoravo la brezza marina e gustavo i piatti che mangiavano.
Voto generale ⭐⭐⭐/5.